Accademia dei Catenati - Macerata


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Lo stemma

Origini e storia

Lo stemma della Accademia dei Catenati

Lo stemma dell'Accademia dei Catenati, stando a quanto sostiene Luigi Lanzi nella sua Storia Pittorica d'Italia, fu realizzato dal Cavalier Sforza Compagnoni, maceratese, come Carlo Hercolani riferisce nelle Memorie storiche dell'Accademia dei Catenati (19): "Nel mezzo al muro di prospetto della surriferita grand'Aula pendeva un dipinto raffigurante l'Accademico Stemma, o sia l'Impresa, munita dell'Arme della città di mano di un nobile allievo di Guido; cioè del cavalier Sforza Compagnoni maceratese, "che si torrebbe per cosa di Guido", al dire del Lanzi nella sua 'Storia Pittorica dell'Italia'". (20)
Il Cavalier Sforza Compagnoni nacque a Macerata il 7 aprile 1584 da Piertommaso Compagnoni, giureconsulto ed accademico catenate e da Girolama Giardini, e vi morì nel 1640 (21). Controversa è la sua formazione, di stampo sicuramente bolognese, ma mentre per Lanzi fu allievo di Guido Reni, per il Malvasia (22) fu scolaro dell'Albani e per Pagnanelli (23) del Guercino. Fu Accademico di San Luca e, creato Cavaliere di Santo Stefano d'Ungheria nel 1626, nel 1628 fu ammesso nel sacro ordine militare di Malta.

Stemma dell’Accademia dei Catenati
olio su tela, 155 x 101 cm
Sforza Compagnoni (1584-1640)

Ad attribuirgli la realizzazione dello stemma dell'Accademia è Amico Ricci sia nelle Memorie storiche delle Arti e degli Artisti nella Marca di Ancona (24) sia nell'inedita Miscellanea di scritti e di appunti sulle arti e sugli artisti delle Marche (25), mentre Amedeo Ricci (26) gli assegna anche alcune delle Imprese personali degli Accademici Catenati.
Questa affermazione, ripresa sicuramente dal Pagnanelli, non ha purtroppo basi documentarie e si è incerti se attribuire parte del corpus delle 25 Imprese alla mano del Cavalier Sforza Compagnoni.

Lo stemma dell'Accademia dei Catenati presenta un paesaggio che si apre tra due quinte di alberi e, al centro, una catena costituita da sette anelli d'oro, la quale pende dal cielo: l'Impresa è circondata da quattro figure femminili, tutte indossanti abiti dalla foggia classicheggiante, con differenti attributi. Si può formulare l'ipotesi che un probabile precedente iconografico tenuto presente nell'ideazione di questo stemma accademico fu l'incisione pubblicata nel frontespizio dell'edizione del Martellini della tragedia
degli Accademici Catenati
Athamante del 1579 (27). Il corpo dell'Impresa è il medesimo, l'unica variante è la presenza di due sole figure femminili in alto e di quattro putti.
Il fatto che la scelta dell'impresa generale fu oculata e fortemente meditata è attestato dalla serie cospicua di interventi e proposte nel corso delle sedute accademiche, nei quali si cercò di correlare il motto con l'immagine dell'Impresa. Primo contrassegno di un'Accademia era il nome, spesso stravagante e curioso, mentre secondo elemento distintivo era la scelta dell'Impresa (28). Da porre in evidenza, nel caso della scelta operata dai Catenati, che sia il
motto sia il corpo dell'Impresa fanno chiaramente riferimento alla
filosofia platonica e vogliono mettere maggiormente in evidenza il legame con l'Accademia archetipica, vale a dire la scuola filosofica di Platone, che aveva sede nei giardini di Academo. Stando alle testimonianze riferite da Enrico Bettucci (29) e da quelle che si trovano in occasione del funerale di Pirro Aurispa (30), sia la proposta del nome dell'Accademia sia l'iconografia dello stemma sono da ascriversi a Pirro Aurispa.
Amedeo Ricci sostiene, invece, riferendosi ad un manoscritto di Camillo Giuseppe Compagnoni, esistente presso la Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata, che l'Inventor della suddetta impresa fu Giulio Troili, "
il più chiaro di tutti gli ingegni, versatissimo dei poeti Greci e Latini, l'Homero dei Catenati… egli inventò l'aurea
cathena dell'Accademia (...) e compose le scene migliori, se non tutte dell'Atamante e dell'Edippo
" (31).

La proposta di adottare come corpo dell'impresa una "cathena d'oro distesa dal cielo in terra" fu avanzata il 15 settembre 1574: "Il corpo dell'Impresa sia una Cathena d'oro distesa di cielo in terra, l'Anima o il Motto sia hinc a te nati, che interpretato modernamente suonerà: indi, o per questo effetto siamo nati da te, o Cielo. Il Nome generale sarà Gli Incatenati. Il Cielo dimostra che in lui è il principio et il fin nostro, la Cathena mostra i gradi di ascendere et discendere dal Cielo et in Cielo: l'oro dimostra, che, siccome dal Cielo non

discende in terra altro che bene, così ancora per altra strada che di beni di virtù e di fatiche nobili non si ascende al Cielo. La terra poi significherà noi Mortali. Il corpo dell'Impresa, cioè la Cathena d'oro è da Homero; il restante è di Platone, et indi si può conoscere l'Impresa essere di grande autorità e maggior dottrina", mentre il motto fu presentato il 6 dicembre 1574: "Considerisi se all'Impresa della Cathena stesse bene per Motto PHEDRI EPOMENOI, idest ALACRES SEQUENTES, cavato da Luciano dall'Ercole Gallico".
La scelta iconografica dello stemma e il motto derivano da precisi passi letterari, come illustrano Girolamo Zoppio (32) e Carlo Hercolani (33). Il riferimento letterario alla catena d'oro pendente dal cielo, finalizzata a suggellare un rapporto tra umanità e divinità è una citazione dal libro VIII dell'Iliade, v. 16-27. I versi fanno parte di un discorso pronunciato da Zeus per dimostrare di essere il dio più potente di tutto il pantheon greco: "
…capirete allora che di tutti gli dei io sono il più forte. Fate dunque una prova, così tutti saprete: sospendete al cielo una catena d'oro e appendetevi tutti, dei e dee, quanti voi siete; non riuscirete a trascinare dal cielo alla terra Zeus, signore supremo, per quanti sforzi facciate. Ma se invece mi mettessi a tirare io stesso, trascinerei mare e terra insieme con voi; poi, ad una cima dell'Olimpo legherei la catena e tutto lascerei sospeso nell'aria, tanto più forte io sono di tutti gli dei, di tutti gli uomini".
La catena, seguendo Cesare Ripa (34) e Giovanni Ferro (35), è simbolo della congiunzione delle cose umane con le divine, perché è "
un vincolo comune con il quale Iddio quando gli piace ci tira a sé e leva le nostre conoscenze al Cielo, dove noi colle proprie non possiamo salire", e, di conseguenza, è simbolo dell'aiuto divino che l'umanità riceve per ascendere i diversi gradi di conoscenza raffigurati allegoricamente negli anelli d'oro della catena. Questi, essendo di metallo incorruttibile ed essendo in numero di sette, non solo alludono ai sette doni dello Spirito Santo, ma anche alle cognizioni filosofiche e scientifiche che l'umanità deve risalire per accedere al vero sapere. Le menti che aspirano ad un tale traguardo si sottopongono volontariamente ad un delizioso giogo e sono (...) "coloro che seguono gioiosamente e lietamente" (...).
Nel prologo viene denunciata la scoperta nel paese dei celti (per i Greci la Gallia), di uno strano dipinto, in cui vi è effigiato un vecchissimo Eracle, ancora conquistatore di uomini grazie alla sua parola suadente, non più per la sua forza bruta: "
Ma non ho detto ciò che il ritratto ha di più straordinario: quel vecchio Eracle tira, tirati tutti per le orecchie, numerosissimi uomini. Li legano a lui catene sottili, fatte d'oro ed ambra, simili alle più belle collane. E tuttavia, benché condotti con così deboli mezzi, né meditano di fuggire, pur potendolo con facilità, né assolutamente resistono o piantano i piedi, piegandosi all'indietro in senso contrario a quello in cui sono stati tirati, ma seguono raggianti e gioiosi (...) lodando colui che li conduce e allentando la catena perché lo vogliono prevenire".
Dall'esegesi dell'iconografia dello stemma dell'Accademia si deduce che l'intento principale perseguito dai Catenati era quello di tentare di armonizzare i dogmi della rivelazione cristiana con i principi della filosofia greca, cercando di conciliare la sapienza pagana con la fede cristiana. La filosofia platonica, in modo parti-
colare, informa il pensiero dei Catenati: la verità assoluta, eterna ed universale si può acquisire solo tramite la reminiscenza delle idee innate (le cognizioni raffigurate dagli anelli della catena), emanate dall'intelletto divino, la sorgente d'ogni sapienza e verità.


L'esegesi che si propone per le quattro figure femminili, rappresentazioni allegoriche di virtù o della stessa Accademia, si basa sulle chiavi di lettura offerte dall'Iconologia di Cesare Ripa.

La figura in basso a destra, coronata, con un libro aperto nella mano destra e impugnante con la mano sinistra, con ogni probabilità, una lima, è la raffigurazione allegorica dell'Accademia (36): ai suoi piedi sono un melograno, o meglio un "pomo granato, figura dell'unione degli Accademici", e una coroncina di fiori intrecciati, probabile allusione alla "ghirlanda di Alloro, Edera e Mirto", le tre piante poetiche per eccellenza, attributo di cui parla il Ripa. La veste è di vari colori perché indica le varie scienze trattate da un'accademia; la lima, strumento con cui si leviga e si toglie dal ferro la ruggine, indica l'attività di "politura" e di censura operata dall'accademia nei confronti dei componimenti poetici e prosaici; la corona dorata pone l'accento sul fatto che le qualità intellettive risiedono nel capo, come vuole Platone nel Timeo.


La figura in alto a destra è la personificazione della Prudenza, virtù fondamentale per conseguire il bene e fuggire il male. È raffigurata con un doppio volto, richiamandosi all'iconografia di Giano, perché la prudenza nasce dalla consapevolezza degli errori passati ed è rivolta ad indirizzare il nostro operato futuro. Pertanto, l'uomo che n'è senza "non sa riacquistare quello che ha perduto, né sa conservar quello che possiede, né cercar quello che aspetta" (37). Gli attributi con cui è raffigurata sono i seguenti: lo specchio, indica il fatto che chi non conosce i propri difetti non può regolare le sue azioni future; il serpente avvolto intorno al braccio sinistro è detto ecneide o remora, il quale, scrive Plinio, attaccandosi ad una nave ha la capacità di fermarla, simbolo quindi del dover ponderare bene ogni azione prima di metterla in pratica. Il cervo, presente come attributo solamente nell'immagine della Prudenza del Ripa, con le sue gambe lunghe
ed agili indica la predisposizione umana ad agire frettolosamente, mentre le corna ritardano l'animale nella sua corsa a causa del loro peso e gli fanno evitare i pericoli della selva: ugualmente la prudenza invita l'uomo ad operare con senno e ponderatezza.


La figura in alto a sinistra, è la più incerta, avendo solamente come attributi due libri: il suo atteggiamento è tra l'assorto e il meditativo, pertanto si può formulare l'ipotesi che sia la personificazio ne della Filosofia, "la madre e la figliuola della virtù, madre perché dalla cognizione del bene nasce l'amore d'esso, figlia perché se non v'è un animo ben composto con molte attioni lodevoli, fondato sulla virtù, non suole stimare la filosofia, né tenere in conto alcuno i suoi seguaci" (38). I libri serrati sotto il braccio sono simbolo dei segreti della natura, che difficilmente si possono capire, a meno che non si contempli con minuziosità la natura dei "corpi sodi e liquidi e semplici, e composti e oscuri e rari e opachi e spessi".




La figura in basso a sinistra è identificabile con l'Eloquenza, dote massimamente coltivata dai membri di un'accademia, quell'arte del persuadere per cui viene celebrato il vecchio Eracle da Luciano, ai cui seguaci esplicitamente rimanda il motto. Il Ripa descrive l'Eloquenza in questi termini, descrizione che coincide in gran parte con la suddetta immagine: "Giovane bella con petto armato e colle braccia ignude. In capo avrà l'elmo circondato da corona d'alloro. A fianco avrà lo stocco. Nella mano destra una verga". In particolare le braccia ignude per il Ripa fanno riferimento alla "delicatezza delle parole", in quanto "escon fuori del busto ornato perché senza i fondamenti della salda dottrina e di ragione efficace, l'Eloquenza sarebbe inerme ed impotente a conseguire il suo fine" (39).

Lucia Simi
(da: Gli Stemmi degli Accademici Catenati, Macerata, 2008)


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19
Carlo Hercolani, Memorie storiche dell’Accademia dei Catenati in un discorso recitato ai medesimi dal principe Carlo Can. Hercolani dei 30 agosto 1822, Macerata, Co’ Tipi di Giuseppe Mancini Cortesi, 1829, in particolare pp. 8-10.
20 Luigi Lanzi, Storia pittorica d’Italia, vol. III, Bassano, 1818, p. 171.
21 ASMc, Fondo Amedeo Ricci, busta 2, n. 6.
22 Carlo Cesare Malvasia, Felsina pittrice, Bologna, per l'erede di Domenico Barbieri, 1678.
23 Pagnanelli, Almanacchi Maceratesi, Memorie storiche di Macerata, giornale pel 1854.
24 Amico Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata, Alessandro Mancini, 1834, pp. 265-267.
25 BCMc (Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti - Macerata), ms. 203, Miscellanea di scritti e di appunti sulle arti e sugli artisti
delle Marche, cc. 249-253.
26 ASMc, Fondo Amedeo Ricci, busta 2, n. 6.
27 Accademici Catenati, Athamante, Macerata, Martellini, 1579.
28 Si confronti nell'Appendice Documentaria il Ms 623: Atti dell’Accademia dei Catenati, I, pp. 9-27, in cui sono elencate le varie proposte per il corpo e il motto dell’Impresa generale.



29
Enrico Bettucci, Torquato Tasso che sottopone al giudizio degli Accademici Catenati in Macerata la ‘Gerusalemme liberata’, Macerata, Tipografia Cortesi, 1885.
30 BCMc, ms. 555, fasc. XVI, Accademia dei Catenati. Funerali di Pirro Aurispa, Macerata, 1575.
31 ASMc, Fondo Amedeo Ricci, busta 7, n. 1.
32 BCMc, ms. 463, Girolamo Zoppio, Gli Amori di Girolamo Zoppio in lode dell’onestissima e bellissima M. Giulia Fedele di Macerata.
33 Carlo Hercolani, Memorie storiche dell’Accademia dei Catenati in un discorso recitato ai medesimi dal principe Carlo Can. Hercolani dei 30 agosto 1822, Macerata, Co’ Tipi di Giuseppe Mancini Cortesi, 1829.
34 Cesare Ripa, Iconologia, accresciuta da Cesare Orlandi, Perugia, nella stamperia di Piergiovanni Costantini, 1767.
35 Giovanni Ferro, Teatro d’imprese, Venezia, Giacomo Sarzina, 1623.
36 Cesare Ripa, Iconologia nobilmente accresciuta d’immagini, di annotazioni e di fatti dall’Abate Cesare Orlandi, Perugia,
Piergiovanni Costantini, 1764, vol. I, p. 15.
37 Cesare Ripa, op. cit., vol. IV, p. 428.
38 Cesare Ripa, op. cit., vol. III, p. 72.
39 Cesare Ripa, op. cit., vol. II. p. 318.


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