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Nato a Montelupone, ha compiuto gli studi a Macerata fino al conseguimento della Laurea.
Già funzionario presso vari Enti è attualmente in pensione. Si occupa da sempre di Arte, come critico e recensore.
Ha curato mostre tra cui la più recente dedicata al pittore montelu ponese Corrado Pellini (1908-1934).
Una sua raccolta di liriche in lingua “Colorarsi di bianco” è stata pubblicata nel 1983. Suoi versi in dialetto sono inclusi nelle antologie di poeti del maceratese ‘Vola, vola picciò”, “Mestecanza” e "Frecandò".
È presente nella raccolta di scrittori ed artisti marchigiani ‘Voci nostre”. Due brani fanno parte della raccolta antologica “Sapore di amicizia” a cura dall’Associazione marchigiana di Bologna.
Ha vinto nel 1997 il Primo premio di poesia dialettale “G. Lorenzetti” bandito dal Comune di Terni e nel 1998 il Primo premio “Il Sughero d’Oro” bandito dal Comune di Serrapetrona.
Segnalato in numerose altre manifestazioni (Roma — Firenze — Pontedera - Varano ecc.).
Ha scritto due romanzi: il primo sulla sua infanzia trascorsa a Montelupone e l’ultimo dal titolo “Quattro passi tra casa e ufficio”.
Attualmente cura una rubrica di folklore a Radio Nuova Macerata.
Quattro passi tra casa e ufficio
Prefazione
di Lucio Del Gobbo
Confesso che a volte mi capita di considerare la lettura un esercizio di altruismo e, implicitamente, un atto di umiltà, come di chi ascolti rinunciando un pò a se stesso e a quella smania di esprimere personalmente, che invece, come un tic e una puerile necessità, lo vorrebbe in permanenza al centro della considerazione. Una sensazione di apparente sacrificio e di virtù, ma in realtà d'un moralismo riprovevole, che avverto soprattutto quando mi accingo, senza una prestabilita utilità, a leggere di qualcosa o di qualcuno che penso di conoscere già profondamente (altro gusto e desiderio mi dà, come è naturale, prendere in mano un libro che promette invece delle novità). Ora, data la confidenza che ho con Goffredo Giachini, e dunque la conoscenza di tanti fatti che egli racconta, questa impressione dovrei avvertirla ad ogni riga, ed invece non mi sfiora minimamente. Quel che scrive - l'ho già provato leggendo il suo primo libro di racconti monteluponesi - mi risulta anzi divertente, e tenero, come cosa familiare e direi anche fraterna.
Forse perché in queste storie si esercita anche la mia memoria, e l'amicizia che mi lega a lui mi rende condomino dei suoi ricordi. Il tempo, gli ambienti, i divertimenti, le ansie, i crucci ho l'impressione che siano stati anche miei. Se guardo attentamente in qualche cantuccio delle sue gustose rievocazioni forse sono anche presente, magari con lo sguardo vagante, distratto da altri soggetti e considerazioni. Una sorta di autoidentificazione, dunque, che non solo mi fa parteggiare per ciò che egli scrive, ma mi crea un coinvolgimento così diretto ed intenso da sfociare addirittura in commozione, come appunto accade quando al centro di ricordi toccanti ci ritroviamo noi stessi.
Ma non è solo questo. Leggendo le cose di Giachini affiora spontaneamente quella "cultura della memoria" che chiunque abbia passato il mezzo secolo di età non può non riconoscere come anche sua. E a renderla stimolante c'è tutta la capacità del narratore, che non è tanto quella del saper riferire quanto del rivivere il ricordo sullo stimolo di una simpatia che del ricordo stesso, della osservazione e dell'annotazione iniziali, fu la prima ragione; ed è la stessa simpatia che a posteriori arricchisce il racconto di un gusto e di un entusiasmo "mitizzanti". Lo ammette Giachini stesso, che una parte di ciò che racconta è resa ancor più mitica da una "tradizione orale" privata e personalissima, esercitata continuamente negli anni:
Scene che raccontate e rivissute a distanza di tempo, servivano di argomento di conversazione per giorni e giorni, tra una presa in giro e uno sbellicarsi di risa a carico di questo o di quell'altro. Mi viene anche il dubbio che alcuni dei personaggi che descrive, specie quelli più strampalati ed esilaranti, si siano impiantati nella sua memoria progressivamente, pezzo dopo pezzo, e siano cresciuti e perfezionati tanto da diventare realtà vera, sebbene in origine fossero ben più insignificanti. Ma sono sicuro che Giachini giurerebbe che sono veri dall'inizio alla fine; ed avrebbe ragione: sono cresciuti con lui e sono veri con lui. (....)
Lucio Del Gobbo
Le poesie in dialetto
Goffredo Giachini ha pubblicato poesie in dialetto maceratese all'insegna del sodalizio degli "Amici del Dialetto", con Giovanni Ciurciola, Mariella Marsiglia, Urbano Riganelli e Mauro Valentini.
LU PARLA' NOSTRU
La puisìa, per chi no' l'ha capita,
(ma penzo che n'è 'rmasti pochi tanti)
'rsomèja un moccongellu a questa vita
fatta de cose stupide e 'mportanti:
momenti de callaccia e de tempesta,
ridicole pasciò', grossi patemi,
scàmpuli che lu còre ce fa festa,
ardri che ce sintimo come scemi…
Però 'ste cose besogna smuscinàlle,
drizzalle a modu e ppo' sirville calle.
Mittìmoce le ma' su la cuscienza,
amici mia, che fate 'stu mestiere,
la puisìa non è 'na pinitenza,
e manco vòle datte un dispiacere.
Le idee ce vò', la vòja quella pure,
che ò' ce pò' scappà le stroppiature…
Ve vòjo dì' che la parlata nostra
è strana, è dura, è pijna de rasciate,
c'è da sta' 'ccorti a quillu che se mostra
non se deve penzà a le cavolate.
Quilli che sente non se deve da frecà'
co' du' fregnacce 'nventate la per là.
Le jende va tranquilla, in bòna fede,
cerchenno tra li versi 'na risata,
se lo dialetto è lengua e ce se crede,
non besogna tradire la parlata.
Tutti non c'jmo la capacità
de strìgne in tre parole la reardà.
La museca ce vò', l'accendi justi,
no' lo poto' e le sìllave d'avanzo,
non se pò' contentà' tutti li gusti,
lo pesce non adè carne de manzo.
Perciò vardasci mia, sjmo singeri,
quanti ce ne sarà de "artisti "veri??
La vita adè puisìa, arda la posta,
fa strada sulu chi ci/ha la faccia tosta…
(Goffredo Giachini)