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di Giancarlo Liuti
da Cronache Maceratesi, 23 febbraio 2013
Il riserbo elettorale imporrebbe, stavolta, di cambiar nome alla mia rubrica, da “La domenica del villaggio” a “La domenica del sondaggio”, quello vero, quello che uscirà dalle urne. E se, come molti prevedono, fosse necessario, entro qualche mese, tornare ai seggi, allora ci vorrebbe un nuovo nome: “La domenica del ripescaggio”. Ma perché mai perdere la speranza che l’Italia riesca, fin da domani, ad avere un governo stabile ed efficiente? Allora ci vorrebbe un nome per così dire ottimista: “La domenica del coraggio”. Sta di fatto, comunque, che oggi mi astengo dal parlar di politica e scelgo un argomento diverso. Evasivo? Fino a un certo punto, perché esso riguardal’arte, la cultura e, non ultima, la vacillante sensibilità che le pubbliche istituzioni locali nutrono verso i cosiddetti beni immateriali, i beni dell’animo e dello spirito.
Nei santuari vi sono dei luoghi dove si espongono gli “ex voto”, piccoli e ingenui quadri che esprimono la riconoscenza popolare per grazie ricevute, spesso autentici miracoli. Anche i risultati elettorali, in fondo, sono “ex voto” o, meglio, “ex votis”, giacché vengono dai voti e inducono chi vince a manifestare riconoscenza per grazia ricevuta, magari, considerando l’incertezza della situazione attuale, per un vero e proprio miracolo. Ma, ripeto, niente politica. E dagli “ex
votis” passo agli “ex libris”, un’espressione (“dai libri”) che indica una specie di sigillo personale apposto dal proprietario su ogni libro della sua piccola o grande biblioteca, come a dire “questo è mio, ci sono anch’io”.
Pure gli “ex libris” sono piccoli quadri, ma realizzati da eccellenti artisti del disegno e dell’incisione. E può accadere che la loro bellezza superi quella del libro al quale si sono af f ratellati.
E qui, dopo queste giocose divagazioni sulla preposizione latina “ex” che significa “provenienza da” o “dopo essere stati” (a proposito, quanti saranno, domani, gli ex deputati e gli ex senatori che dovranno dire addio al Parlamento?), vengo al punto. Anzitutto un nome: Maria Elisa Leboroni, l’artista maceratese che da tempo risiede a Perugia e che figura nell’albo d’oro non solo nazionale del bulino, dell’incisione su legno, della grafica e, appunto, degli “ex libris”, come fanno fede le sue innumerevoli e apprezzatissime mostre in Italia, in Europa e in Oriente. Autrice di “ex libris”, dunque, ma anche innamorata dell’opera dei suoi colleghi sparsi nel mondo, tanto d’avere raccolto oltre dodicimila pezzi firmati non solo da autori italiani (Bai, Bartolini, Bruno da Osimo, Piacesi, Jacomucci, Mainini, Nino Ricci e lei stessa) ma anche da artisti dell’Europa dell’Est (Russia, Romania, Lettonia, Polonia) e dell’Asia (Cina, Giappone). Una vasta panoramica, insomma, su una forma d’arte che per la spontaneità, la freschezza, la fantasia dell’ideazione e l’abilità della realizzazione non va assolutamente considerata minore.
Maceratese di nascita, lei. Ma con Macerata c’è un ulteriore legame. Anni orsono, infatti, la Leboroni ha donato la sua collezione alla Biblioteca statale di via Garibaldi, dove la direttrice Angiola Maria Napolioni ha subito compreso l’importanza estetica e più ampiamente storico-culturale di tale acquisizione e ha cercato di valorizzarla, sistemandola in ben diciotto raccoglitori, per farla conoscere oltre i confini comunali e renderla fruibile al maggior numero di persone. A tale scopo, per esempio, è in programma, il 14 marzo, una mostra con serigrafie di Jean Cocteau e perfino di Adolf Hitler, quando il futuro e feroce dittatore nazista si dilettava – aveva un animo tenero, allora – nell’acquarello e nell’incisione. Ma c’è dell’altro. E sta nell’opera di Goffredo Giachini, esperto d’arte e accademico dei Catenati, che ha collaborato a un programma da computer dove ciascun “ex libris” figura per autore, tecnica adottata, dimensioni e caratteristiche, il che ha poi preso anche la forma di un corposo volume per la cui pubblicazione si contava di ottenere un contributo da parte degli enti e delle istituzioni che a Macerata si occupano di cultura, per esempio la Fondazione Carima. Intendiamoci, la crisi economica (e, in particolare, la situazione dei bilanci delle fondazioni bancarie) è tale da imporre limiti e sacrifici, per cui non è giusto, forse, infierire. Ciò non toglie però la delusione provocata dal rifiuto, fra l’altro giunto a un anno di distanza dalla richiesta.
Sere fa, al Claudiani, si è tenuta una riunione alla presenza dell’assessore comunale alla cultura Irene Manzi (le stelle dicono che lo resterà per pochi giorni, forse l’attende Montecitorio), di Francesco Micheli e Piero Cesanelli, direttori artistici dell’Arena Sferisterio e di Musicultura, e di Carlo Pesaresi, presidente del Consorzio Marche Spettacolo. E’ stato un appello accorato contro l’idiozia tremontiana della “cultura che non si mangia” e a favore dell’impegno a non ignorare che dove c’è cultura – arte figurativa, musica sinfonica, musica lirica, spettacoli dal vivo – cresce la consapevolezza civile, si maturano idee di futuro e, per quanto riguarda il “mangiare”, ne trae vantaggio, per investimenti e lavoro, pure l’economia.