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di Lucio del Gobbo
critico d'arte
Mi sono accorto che è quasi impossibile parlare di Sesto Americo Luchetti artista tralasciando di riferirsi all'uomo; forse più che in altri casi le due figure dell'uomo e dell'artista combaciano rendendosi quasi indistinguibili. E c'è stata un'attenzione sua affinché risultasse questa identificazione. Fu un'esigenza di sincerità e di coerenza a determinarla, un bisogno che nel tempo si è sempre più consolidato evidenziando il suo fondamento etico. Luchetti ha voluto essere un tutt'uno con la sua espressione artistica, oserei dire che si è nascosto dietro ad essa. E questo è risultato evidente già nel periodo giovanile, quello delle scelte ideali.
Essendo ormai note le qualità del giovane scultore, in diversi lo consigliarono di portarsi fuori dell'ambito provinciale e di operare in una grande città, come Roma o Milano, lì avrebbe avuto maggiori possibilità di farsi conoscere e lanciarsi nel mondo dell'arte. Tra coloro che lo incoraggiavano in tal senso c'era anche il professor Diamantini che dirigeva la R. Scuola professionale di tirocinio di Macerata.
Ma Luchetti scelse di rimanere nella sua provincia adducendo varie ragioni: in primo luogo le scarse possibilità economiche e poi la coscienza di un carattere poco propenso all'avventura, timido, appartato, timoroso di essere fagocitato dal clima metropolitano e "dalle sue intemperanze": alcuni biografi dell'artista hanno particolarmente insistito su questa motivazione psicologica e morale.
Naturalmente furono diversi a criticare tale scelta, tra questi anche Sante Monachesi; in un articolo riferito allo scultore, uscito su L'Azione Fascista nel 1938 in occasione della mostra dei Sotto i Trenta a Macerata (Luchetti, allora ventinovenne era tra i 19 artisti invitati) scrisse così: "Luchetti, un giovane di sicure possibilità che però ad un dato momento si chiude nel suo laboratorio di marmista e pratica l'arte nei suoi ritagli di tempo in una forma di dilettantismo, sotto l'influenza di artisti passati, e con un ideale al di fuori da necessità presentiste, non rendendosi più conto sia della funzionalità della propria esistenza, che della sua opera d'arte in relazione col futuro. Dal periodo del bassorilievo dei Littoriali, nel quale egli era affetto da un appassionatissimo spirito giovanile di ricerca, è passato ad una testa di Giacomo Leopardi che per quanto eseguita con una tecnica eccellente risente palesemente delle opere dello scomparso Wildt".
Sesto Americo Luchetti nel suo studio
negli ultimi anni della sua vita
Monachesi aveva già avuto esperienze romane, aveva partecipato al movimento futurista nel suo secondo periodo, ne era stato tra i protagonisti a Macerata, ed era entusiasta dell'arte d'avanguardia, è dunque comprensibile il suo dissenso. Ma in Luchetti non c'era stata chiusura, né l'intenzione di praticare l'arte solo come diversivo, bensì un desiderio di acculturarsi e di progredire ad un livello il più alto possibile.
Pur essendovisi introdotto attraverso un'attività artigianale, nel laboratorio di marmi Buratti, si era subito impegnato nello studio: 4 anni alla scuola di Tirocinio a Macerata, poi la frequentazione di una scuola dello stesso tipo a Perugia e, in quella stessa città, l'iscrizione alla Accademia di Belle Arti, diretta all'epoca da Gerardo Dottori, seguendo i corsi di Benedetto D'Amore. Ed aveva voluto inserirsi nella militanza artistica, partecipando a varie rassegne sindacali, e facendosi subito notare per la qualità delle opere. Diverse di esse, come il busto di Leopardi, menzionato da Monachesi, e una Maternità, furono acquisite rispettivamente dal Comune di Recanati e dalla Cassa di Risparmio di Macerata come premi acquisto.
Non tutti dunque compresero che quello di Luchetti non voleva essere un atteggiamento retrivo, rinunciatario, ma una scelta di campo e, aggiungerei, anche di libertà. La vita dell'artista, e particolarmente quella dello scultore, conta sul mecenatismo non solo privato ma anche e soprattutto pubblico. Luchetti non aveva voluto crearsi gravami di alcun genere. Aveva cercato condizioni di indipendenza e di autosufficienza, difendendo una sua privacy creativa ed operativa. Si era abituato ad lavorare con mezzi modesti (e questo è risultato evidente sino all'ultimo…) che lo rendessero esente da costi troppo onerosi e dall'intervento di aiuti.
La Studentessa (1944), cm 60x30x40
Sia come insegnante che come artista dava grande importanza all'apprendimento e al possesso delle tecniche. A questo proposito traggo da una lettera di un suo ex allievo, Valeriano Trubbiani, all'epoca già tra i più meritevoli, questa citazione: "... L' ho sempre stimato come professore e come scultore, e benvoluto come un padre perché Lei solo Lei è il mio maestro, l'unica persona soprattutto che mi abbia insegnato a disegnare...Ci tengo a dirlo per amore di verità, l' ho sempre detto a tutti..."
Luchetti è stato tra gli artisti contemporanei uno dei più fedeli traduttori di quell'impronta di artigianità che ha caratterizzato da sempre la produzione artistica marchigiana, e quella scultorea in particolare. Era sua profonda convinzione che l'opera dovesse essere conseguenza ultima di un processo che inizia con il disegno e si incrementa, prima ancora che con l'azione del "levare", con l'esercizio più incerto e riflessivo dell'"aggiungere". Tale strategia progettuale, basata su un criterio progressivo di valutazione, egli l'applicava, in generale, ad una notevole varietà di tecniche: dalla scultura in marmo, alla modellazione dell'argilla, tradotta poi in bronzo oppure cotta o rivestita con procedimenti galvanici, al mosaico, alla pittura su vetro, alla medaglistica, all'incisione e alla stessa pittura: tecniche che egli praticava normalmente e con assoluta padronanza, avendo come base imprescindibile il disegno.
Fu attento, come già accennato, a mantenersi su una linea espressiva e stilistica confacente alla sua visione dell'arte, a contatto, e in sintonia con artisti contemporanei che considerava maestri oltre che amici, come Battista Tassara (primo direttore della Scuola di Tirocinio locale), Carlo Cantalamessa, Ciro Pavisa, Salvatore Giarrizzo, Giuseppe De Angelis, Elia Bonci, ed altri. E fu attento alla cultura artistica contemporanea e ai suoi dibattiti, in particolare a quelli riguardanti la tradizione e l'innovazione, sempre risoluto a difendere il valore storico dell'arte italiana.
Le sue prime opere risentivano della stilizzazione operata all'interno della Secessione Europea (che promuoveva una presa di distanza dall'accademismo imperante a fine ottocento) subendo l'influsso di uno scultore che aveva operato su quella linea, quell'Adolfo Wildt nominato, appunto, da Monachesi: un formalismo tipicamente liberty che riecheggiava le purezze del gotico nordico. Luchetti vi realizzava opere singole o in abbinamento all'architettura, come quelle del proscenio del cinema Italia, tutt'ora esistenti, o l'Annunciazione in marmo conservata nel Museo Diocesano.
Poi dimostrò un'adesione di massima a Novecento, il movimento sorto tra le due guerre, caratteristica espressione della cultura Italiana che dichiarava la rinuncia agli Ideali dell'avanguardia storica e delle poetiche di gruppo per elaborare, in chiave nazionalista, i principi del ritorno all'ordine. Nelle sue file confluivano artisti di contrapposte tendenze: dai seguaci di una tradizione primitivista (giottesca) e rinascimentale, attenti allo studio della forma-volume, le cui premesse si trovavano già in Valori Plastici e nella pittura metafisica di De Chirico e Carrà, come nei tosco-emiliani di Strapaese, o in coloro che aspiravano a un europeismo culturale, sostenitori di un intimismo naturalistico, o di valori antichi perseguiti con il recupero delle tecniche artigianali.
Luchetti si guardò bene dal seguire la magniloquenza e la retorica monumentale che Novecento assunse per effetto della sua adesione al regime. Egli si posizionò su un espressionismo, non declinato in modo crudo o irridente, alla maniera tedesca, ma, seppur forte e drammatico negli effetti, sempre intriso di un sentimento intimista, corrispondente anche al carattere dell'uomo.
Egli mantenne queste posizioni con fermezza, ma serenamente, senza animosità, offeso solo dalla superficialità e insipienza di pseudo avanguardisti che dietro a un'impressione di novità cercavano di nascondere la propria inettitudine e l'ignoranza. (L'episodio alla fonderia Paoletti).
Riguardo ai contenuti e alla poetica va detto che Luchetti ha trovato la sua piena vocazione nell'arte sacra. Non si deve aver timore a definirlo autore religioso. Se si tacesse ciò, non soltanto si trascurerebbe un impegno che egli si è sempre dato, ma si oscurerebbe una testimonianza spirituale che, da credente, ha inteso esprimere attraverso la militanza artistica. Più che un condizionamento Luchetti ha avuto da questa sua fedeltà un arricchimento, motivi forti di far coincidere le emozioni dell'arte con quelle ancor più profonde e coinvolgenti della fede.
Indubbiamente la sua è stata una scelta non priva di radicalità: ha messo l'ambiguità dell'arte, quell'infuso di forti suggestioni oscillanti tra l'estetico e lo spirituale, tra il sensuale ed il mistico, tra il razionale e l'irrazionale poetico, a disposizione della sua visione religiosa. Non mancano nella sua produzione soggetti anche profani, ma indubbiamente la sua militanza è stata fortemente conformata da un desiderio di assoluto che egli ha inteso perseguire e congiungere con le ragioni dell'arte.
C'è sempre stata in Luchetti la preoccupazione di comunicare anche con persone semplici o disinformate sugli specifici aspetti dell'arte contemporanea. Ciò lo ha spinto, seppure consapevole dei fermenti culturali che caratterizzavano il suo tempo, a scelte linguistiche di fondo: l'aderenza alla figura; una narrazione piana, senza ambiguità, rispettosa della tradizione e di quella particolare pedagogia che l'arte sacra si è sempre imposta. C'è in questo modo di operare un chiaro riferimento alla Biblia pauperum e a San Gregorio: che sosteneva: "figurare in immagini perché tutti vi leggano". Queste per Luchetti sono state priorità. Nel suo racconto, l'interpretazione delle scritture si svolge tenendo presente l'iconografia tradizionale, ma con una immedesimazione personale e una partecipazione tali da apparire, più che resoconto testimonianza ( ma di questo parlerà poi in maniera più approfondita il prof. Avarucci in relazione alle porte).
Si può dire in definitiva che Luchetti abbia dato al suo operare un'impronta profondamente umana, dimostrando anche un disinteresse al denaro, e offrendo la quasi gratuità del lavoro: anche questo ha contribuito a far prevalere nelle sue strategie l'umanità piuttosto che la convenienza. E tutto in un atteggiamento di umiltà o, come egli asseriva, nel nascondimento del lavoro. Si conoscono le sue opere più di quanto si sia conosciuto lui. Egli ha preferito concedersi al racconto di altri e di altro, più che al racconto di se stesso. L'arte gli è servita per vivere a fondo la sua intimità e non certo per ottenere una visibilità personale. Anche se poi, come sempre avviene nell'arte, la voce interiore, la sua coscienza d'artista è sempre stata ben distinguibile nel racconto.
Può darsi, anzi è certo, che Luchetti in qualche sua scelta abbia inteso farsi eunuco in senso biblico, per aderire maggiormente alla causa in cui ha creduto, una causa in cui si è identificato trovando abbondante ispirazione oltre che, come detto, libertà. Può darsi che ciò abbia sottratto qualcosa al suo estro, ma, mi domando: quanto vi ha aggiunto?. La risposta mi viene da Luchetti stesso, dal ricordo del suo entusiasmo mantenuto sino agli ultimi giorni, dalla passione con cui ha atteso all'ultima opera, quando mostrava con indicibile gioia la versione in gesso della sua porta di Recanati assemblata in tutti gli elementi, e disposta sul pavimento della sala da pranzo sgomberata per l'occasione di tutti i mobili.
Impaziente sino all'ultimo di fare.
Lucio Del Gobbo
Relazione tenuta il 29 settembre 2007 presso la Sala Conferenze della Biblioteca Statale di Macerata in occasione della iniziativa su Le cinque porte di Chiese realizzate da Sesto Americo Luchetti promossa dalla Biblioteca Statale di Macerata in collaborazione con l'Accademia dei Catenati e l'Università di Macerata.